La mia passione per la birra è nata dal vino.
Potrebbe sembrare un controsenso ma è andata proprio così, sono nata a Paestum, in provincia di Salerno, una delle tante terre d’Italia in cui il vino è protagonista.
Un’ eccellenza, dicono.
Cresciuta tra i piccoli vigneti dei nonni e produzioni familiari. Un passione che è diventata esperienza e formazione, da grande.
Ad un certo punto mi sono trasferita a Roma, dove ho conseguito la qualifica professionale di Sommelier. Giornate piene: mentre di giorno lavoravo in ufficio (sono laureata in Statistica, “cosa c’entra la Statistica con la Birra?” domanda frequentissima”.
Non so se c’entra ma, alla fine, credo non faccia male…), la sera indossavo la divisa da Sommelier e via, tra banchi d’assaggio e degustazioni (in un battibaleno sono passati 10 anni).
E’ in queste occasioni che ho conosciuto la birra, vicino alle solite bottiglie di bianchi e rossi, bollicine e vini dolci… sono cominciate a comparire sui tavoli le prime birre artigianale, e con loro i tipi “tipi strani” che le producevano: i birrai.
Incuriosita, ho iniziato a leggere, documentarmi, studiare e soprattutto assaggiare. Poi ci sono state le prime produzioni casalinghe ed io ci sono caduta dentro, ho capito che non potevo più farne a meno di quel mondo che mi stava letteralmente ingoiando.
Senza pensarci ho deciso di stravolgere la mia vita e mi sono iscritta al primo Master Universitario in Tecnologie birraie all’Università di Perugia, mollando il lavoro e la città in cui vivevo. Tutto. Un salto nel buio?
Forse, però avevo capito che la strada da percorrere era quella.
E’ stato a Perugia che ho conosciuto Antonio Boco (uno dei soci), critico del Gambero Rosso ed esperto assaggiatore di vini (di nuovo il vino!), ma con in testa un progetto curioso legato alla birra: riportare alla luce un vecchio marchio Ottocentesco legato alla storia della sua città: la Fabbrica Birra Perugia.
Progetto affascinante, denso, autentico, un’idea di cui mi sono subito innamorata.
In men che non si dica ci siamo messi a fantasticare sul futuro e abbiamo deciso di riallacciare i fili della storia: quell’antico birrificio, nato nel 1875 nel cuore di Perugia e chiuso negli anni 30 da un colosso industriale, doveva ricominciare a vivere!
Siamo partiti in quattro, ognuno con il suo ruolo (amministrazione, marketing, commerciale e produzione – la sottoscritta-) ed è stato un lungo percorso di circa 3 anni (abbiamo ottenuto un finanziamento europeo) che ci ha portati alla prima cotta nel marzo del 2013, di sicuro non la scorderò mai.
L’idea era quella di restituire alla città la sua birra, anzitutto, e a conti fatti ci siamo riusciti.
All’inizio, la nostra piccola produzione veniva “bevuta” all’interno del centro storico, poi ci siamo piano allargati alla periferia e a buona parte della regione.
Birra Perugia è diventata in poco tempo un “fenomeno” a livello locale, il che ci ha dato la forza e la consapevolezza per andare avanti, uscendo pian piano dal guscio del territorio.
Mi piace, comunque, sottolineare la nostra idea: vogliamo essere il Local Brewery di Perugia, quella che la città sente sua, un prodotto a Km Zero.
La mia idea di Birra (totalmente condivisa dagli altri soci) è fortemente legata a concetti come equilibrio, finezza e bevibilità, non ci piacciono i fronzoli; siamo terrorizzati da ogni forma di ridondanza e da tutto quello che appesantisce le nostre pinte.
Siamo convinti che la facilità di beva non significhi banalità e cerchiamo sempre di realizzare birre coerenti, con un’idea di fondo e una filosofia stilistica ben precisa. Quelle che amiamo e vogliamo bere noi per primi.
Guardiamo all’Inghilterra con originalità e personalità, su questo non c’è dubbio, infatti la prima birra della nostra storia è stata la Golden Ale, un bel colpo, visti i risultati.
A settembre 2013, dopo soli 6 mesi dall’apertura, si è meritata l’oro all’European Beer Star.
E pensare che l’avevamo iscritta al concorso per gioco.
Poi sono arrivare l’American Red Ale e la Chocolate Porter (una specie di omaggio a Perugia) a chiudere la Linea Classica, quella delle etichette più semplici e quotidiane.
E poi? Dopo la grammatica abbiamo cominciato con i componimenti più complessi.
Ecco arrivare la Calibro7 (APA), la Suburbia (English IPA realizzata in collaborazione con Toccalmatto) e la ILA (Scotch Ale affinata in un barile di Caol Ila 1980 di Samaroli, arrivato al birrificio dalla Scozia).
Ovviamente non mi sento una donna sola al comando.
Il nostro è un lavoro di gruppo, a cominciare dal rapporto con il giovane e bravissimo birraio Luca Maestrini, con un passato da ricercatore del CERB (Centro di Ricerca sulla Birra dell’Università di Perugia).
E lui che, lo dico scherzando ma fino ad un certo “capisce e mette ordine nel mio caos”.
Sono rare le persone appassionate come lui e sono felice di lavorarci fianco a fianco.
Qualche dato tecnico, infine.
La sala cottura da 10 hl e una cantina ancora troppo piccola per stare al passo a tutte le richieste, i nostri appassionati hanno tanta sete, pare.
Come vivo il mio lavoro di birraio?
Non come un lavoro, o almeno non solo.
Non potrei stare tante ore in birrificio se non amassi visceralmente quello che faccio.
Così rispondo alle amiche che non capiscono perchè non trovo il tempo per il parrucchiere e vedono le mie unghie sempre malconce.
Sono contenta, in un ambiente “molto maschile” e un po’ maschilista, di essere stata accolta con rispetto dai colleghi. Da pari.
Non sono poi tanto “strani” questi birrai.
C’è davvero una forte passione nel mondo artigianale.
Si sente, si tocca, si respira in ogni istante, e soprattutto si beve quando si sta insieme.