Viaggio al centro delle Tap-Room

Voglio cogliere l’occasione per cercare di intensificare il dialogo tra noi semplici bevitori ed i nostri super birrai che ci allietano con le loro produzioni brassicole.

E’ col cuore in mano e spinto dalla passione che muovo delle riflessioni nate dalla mia esperienza tra le tap-room venete col solo scopo di attivare un dialogo costruttivo che non vuole urtare  i sentimenti e la passione che tutti noi, nel nostro ruolo, ci mettiamo, ma semplicemente spingere tutti a fare meglio e dare di più per la nostra amata birra artigianale, perché assieme si cresce “come na’ grande fameja”.

Da consumatore, l’esperienza birraia, indipendentemente  dalla  conoscenza della materia, parte dalle tap-room annesse ai birrifici. Personalmente considero il pub come un rifugio dove “scappare” dalla frenesia della città, del lavoro e dalla donna (I’m sorry ladies!) e lo immagino come quel luogo dove, una volta seduto, non mi alzo più. Allo stesso modo considero la tap col solo vantaggio di sentirmi più vicino all’impianto dove la qualità e la freschezza si esprimono (o dovrebbe esprimersi) al massimo.

E’ chiaro come questa semplice operazione sia invece molto complessa ed influenzata da moltissimi fattori, che spesso vengono sottovalutati.

Non dimentichiamo che la tap-room è la carta d’identità di un birrificio: l’arredamento, le spine ed il servizio rappresentano la mano del birraio che stringiamo ogni qualvolta che entriamo in quella che effettivamente è casa sua! Mastri birrai, abbiate il coraggio di proporre un ambiente che sia a vostra immagine e somiglianza, ma non dimenticate a chi è rivolto il locale ovvero noi bevitori!

L’ambiente dovrebbe  invitare al relax e di conseguenza al consumo, dovrebbe essere in grado di farti sedere senza farti alzare più (e se ci provi ti deve trattenere legato alla panca!!).Personalmente non mi piace vedere un locale sterile e senz’anima oppure troppo complesso e “futurista”, i cui unici scopi la mera somministrazione, perché la tap-room non è una gelateria o una mostra contemporanea dove una volta entrato e consumato esco e vado a farmi un passeggiata, ma un luogo dove poter dar sfogo alle nostre pulsioni ed alleggerire il peso dei nostri peccati. L’esperienza continua con le proposte in spina.

Brillano gli occhi a vedere 50 spine, ma diventano utili come i coriandoli al posto della carta igenica se i fusti attaccati sono tutti riconducibili ad una sola Imperial Russian Stout da 14%. Continuate a proporci birre scaturite dai meandri più profondi del vostro cuore, studiate le ricette, provate tecniche innovative, sviluppate idee, andate contro corrente e sperimentate, ma ripeto: NON DIMENTICATECI!

Infine non chiediamo altro che bere una buona birra da quel ventaglio infinito di stili, proposte e rivisitazioni che questo fantastico mondo offre, e vi chiediamo di farlo senza incaponirvi o arroccarvi attorno alla vostra visione della birra perché noi semplici profani le distinguiamo semplicemente in base al colore e al gusto (amaro/dolce). Ed è proprio da questo tipo di descrizione, che partiamo per scegliere la birra da mandare in gola che il più delle volte verrà descritta semplicemente come “bona”, in barba ai luppoli, ibu, malti e lieviti o altre stramberie che vengono aggiunte nelle ricette.

Il personale, quindi, dev’essere sveglio e pronto a servire e capire chi ha di fronte, al fine di offrire la miglior esperienza possibile. Nessuno pretende beer-sommelier o cultori di Cantillon al banco, ma devono essere preparati al loro difficile ruolo ed eventualmente in grado di dire “non lo so” piuttosto che sparare una castroneria pur di rispondere.

Per gestire il luogo di mescita ci vuole metodo, organizzazione e scaltrezza, senza dare la sensazione al consumatore d’esserci dimenticati di lui iniziando a lavare i bicchieri invece di spinare la birra che ti ha appena ordinato per poi vederlo andare via a bocca asciutta perché non è stato fatto ciò che ci era stato chiesto.

La pulizia degl’ambienti a volte non è il massimo, è raro ma bisogno tenere alta la guardia! Mi è capitato un giovedì sera verso l’orario dell’aperitivo col locale semi-vuoto di appoggiare le braccia al tavolo che ha lasciato il timbro sulle braccia in un misto tra polvere birra e qualcos’altro non meglio noto. Ho visto camerieri che appoggiavano tutti e cinque i polpastrelli sul bordo del bicchiere che stavano servendo e altri che accarezzavano un cane prima di servire un piatto.

La scelta del luogo dove andare a bere non è quindi determinata soltanto dalla qualità della birra spinata. Difficilmente mi reco nel locale che serve la migliore birra in città se alle spine c’è una persona antipatica che fatica a salutare e porge il bicchiere appoggiando i polpastrelli sull’orlo dove metterò la bocca.

Al contrario sceglierò quel pub dove all’ingresso vengo salutato col sorriso, al banco posso fare due chiacchere e dopo aver ordinato mi offrono anche due stuzzichini per accompagnare la bevuta, anche se la birra complessivamente può essere ritenuta migliorabile rispetto ad altre.

Concludo questo pensiero bacchettando trasversalmente tutti gli operatori e consumatori che in qualche modo sono inseriti in questo fantastico mondo della birra ma che lo comunicano con arroganza e senso di superiorità.

Ragazzi, ci dobbiamo svegliare! La birra è quella bevanda che unisce tutte le classi sociali, dalle più ricche alle più povere.  E’ una bevanda di per sé semplice e conviviale che non necessita di esperti dell’ultima ora o sprovveduti che si presentano come professionisti in modo strafottente solo per aver sfogliato Randy Mosher o Michael Jackson. Non è tollerabile che un publican o un birraio esclami: “Non ti piacciono le mie birre perchè non le capisci!” ed allo stesso modo vari beer geek, bevitori di sole IPA, che si inventano di definire le differenze produttive tra un Blanche ed una Wit.

Abbiamo bisogno di umiltà.

Umiltà nel capire che il piacere di bere una birra è un’esperienza unica e molto soggettiva priva di regole imposte e guidata semplicemente dai propri sensi e dal proprio gusto.

Buone birre a tutti!!

Cheers

Articolo scritto da Giovanni “Pria” Priante, che ringraziamo

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