Nei corsi sulla degustazione è importante insegnare ai corsisti la provenienza di un determinato sapore/aroma nella birra. Questa consapevolezza può aiutare a comprendere meglio la birra stessa e soprattutto aiutare a raccontarla e descriverla meglio. Capire da dove proviene un determinato sapore non è cosa facile per chi è alle prime armi, un’impresa ardua se non si conoscono molte tipologie di birra o se il rapporto con la nostra spumeggiante bevanda non ci ha ancora portato a comprendere quali siano gli ingredienti specifici di un certo stile. Migliorare la conoscenza delle materie prime aiuta tantissimo ad accrescere le skill da degustatore proprio perché si riesce meglio a fare da ponte tra ingredienti stessi e birra finita. D’altra parte buone skill da degustatore, per lo stesso motivo appena riportato, aiutano molto il birraio a impiegare al meglio le materie prime nelle proprie ricette. Inoltre la conoscenza delle materie prime permette di apprezzare molto della storia di una tipologia birraria. Definiti i motivi per cui vale la pena esplorare il legame tra materie prime, stili e degustazione, passiamo a fare degli esempi esplicativi.
I malti
Quando in una birra individuiamo sapori di miele chiaro, come il millefiori o l’acacia, questi sono spesso dovuti a larghe percentuali di malto pils. Il carattere maltato di moltissime pils o helles presente difatti queste caratteristiche che si accompagnano talvolta a sentori di cereale. In una vienna o in una bock il malto assumerà un tono moderatamente tostato che può ricordare la crosta di pane e che proviene dai malti vienna e monaco impiegati in questi stili. Nella famiglia delle bock, le doppel bock e a maggior ragione le eisbock presentano un carattere maltato così accentuato che questo finisce per sconfinare nell’ambito della frutta matura come prugna, o datteri. Un carattere fruttato quindi che dovrebbe essere alieno ad una bassa fermentazione. Mi è talvolta capitato di sentir confondere delle bock (degustate alla cieca) per delle alte fermentazioni proprio per quel vago carattere fruttato erroneamente ritenuto essere di origine fermentativa.
Nelle IPA di stampo americano, double IPA, nelle APA e assimilabili individuiamo quasi sempre del caramellato che varia di intensità da birra a birra. Quel caramellato aiuta a rendere più morbide e rotonde della birre con una controparte amara particolarmente spiccata. Toni morbidi quindi che hanno il compito di bilanciare la bevuta ma che talvolta sono fin troppo presenti nella birra a causa di un largo impiego dei cosiddetti malti caramellati (crystal o cara). Questi sono malti portati ad alta temperatura per un lasso di tempo variabile quando sono ancora bagnati. Ciò favorisce la formazione di quei composti caramellati che poi vengono apportati al prodotto finito. In una IPA il carattere caramellato, percepito proprio come quel sapore dello zucchero una volta sciolto sul fuoco e fatto leggermente imbrunire, deve essere sempre opportunamente calibrato. Errore comune di molte IPA, soprattutto qualche anno fa, era proprio l’eccessivo uso di tali malti.
Classico marchio di fabbrica di stout, porter, schwarz è invece quel carattere deciso di caffè d’orzo, cioccolato, liquirizia, nocciola, castagna. Sentori che derivano ovviamente dai malti scuri quali chocolate, roasted, carafa. Sono malti che caratterizzano la birra in maniera “importante” già a percentuali prossime al 5% di impiego in ricetta. Un tono eccessivamente torrefatto all’assaggio è spesso dovuto ad un uso eccessivo di malto roasted. Se denotate anche un po’ di acidità, tutto normale, i malti scuri facilmente ne apportano un po’. E se da un bicchiere viene fuori un aroma e sapore di affumicato che ricorda lo speck o la scamorza affumicata, stiamo molto probabilmente bevendo una birra in cui è stato impiegato del malto rauch affumicato su legno di quercia. Se invece avvertiamo del sapore affumicato che ricorda il whisky allora stiamo bevendo una birra prodotta con malto peated, affumicato su torba.
I luppoli
Se le combinazioni di malti sono tante, quelle derivanti dai luppoli sono ancora maggiori. La stragrande maggioranza dei microbirrifici italiani produce almeno una IPA o una birra fortemente luppolata. Si sa, vanno di moda da ormai tanti anni; sono spesso le birre della svolta per chi passa dal bere birre industriali a quelle artigianali e colpiscono con la loro freschezza.
Le birre americane luppolate presentano un ventaglio di sapori molto variegato. In una birra raramente troviamo l’impiego di una sola varietà di luppolo (le cosiddette single hop), molto più spesso quella complessità di sapori che individuiamo deriva da almeno 3 differenti tipologie di luppolo. Caratteristici descrittori di una birra contenente luppoli americani sono i toni agrumati (tipicamente arancia, pompelmo), resinosi (resina di pino) e frutta tropicale. Tanta frutta tropicale anche nei luppoli neozelandesi che abbondano di papaya, mango e ananas. In una fragrante pils o in una kolsch ci aspettiamo i tenui sentori erbacei e floreali dei luppoli nobili tedeschi o il vago pepato di un saaz ceco. Nelle bitter e nelle golden ale, come un po’ in tutte le birre in consueto e perfetto stile inglese, potremmo facilmente individuare i toni erbacei ma soprattutto terrosi dei luppoli inglesi come ad esempio goldings e fuggle. Anche se, in realtà, sempre più spesso nelle birre inglesi troviamo “contaminazioni” di luppoli americani.
Il lievito
Tutte le birre a bassa fermentazione e gran parte delle birre ad alta fermentazione americane sono prodotte con lieviti dal dichiarato carattere neutro che lascia parlare quasi esclusivamente le materie prime impiegate. Nelle birre di stampo anglosassone e in misura estremamente maggiore nelle birre belghe, il lievito invece caratterizza in maniera evidente la birra con la formazione di esteri e fenoli. Esteri che possono ricordare, in funzione del substrato di malti e luppoli utilizzati nella birra, la mela matura, l’albicocca, l’arancia, il melone, la banana, l’uva a bacca bianca. Nelle birre scure del Belgio troveremo più in aggiunta sentori fruttati che ricordano la frutta scura come la prugna o la ciliegia. Nel panorama delle birre belghe caratterizzate dal lievito, anzi dai lieviti, troviamo anche lambic o gueuze. Tali birre sono anche ciò che sono per l’azione di lieviti selvatici (brettanomiceti) e batteri lattici. I brettanomiceti sono noti per creare sapori che ricordano la cantina, la muffa, animale, stallatico in alcuni casi, ma anche frutta tropicale, ciliegia come nel caso caratteristico dell’Orval. I batteri lattici, come è ovvio, invece danno acidità lattica che troviamo dominanti anche nelle berliner weisse tedesche.
L’acqua
L’acqua pur rappresentando il 95% circa di una birra non incide in maniera così palese ed evidente allo stesso modo di luppoli, malti e lieviti, perlomeno in maniera diretta nella degustazione. Ci sono però acque abbastanza caratterizzanti come quella di Plzen in cui la peculiare scarsità di minerali aiuta molto la scorrevolezza della birra in bocca. L’acqua di Burtron upon Trent naturalmente ricca di solfati invece migliora la percezione dell’amaro. Ovviamente difficile capire dall’assaggio se l’acqua con cui è stata fatta una birra sia ricca o povera di minerali ma i palati più sensibili potrebbero accorgersene.
Conclusioni
Naturalmente la qualità di una birra non è solo funzione delle materie prime impiegate. È fondamentale il modo in cui le stesse materie prime sono trattate e soprattutto è importante l’impiantistica del birrificio. Da appassionato produttore casalingo di birra, quando bevo una buona birra che mi piacerebbe riprodurre penso sempre a che ingredienti abbia utilizzato e soprattutto in che quantità. Esercizio che faccio al contrario quando invece metto a punto una nuova ricetta e mi immagino che sapore avrà la birra finita in base alle materie prime che ho scelto. In qualche modo si esegue una sorta di traduzione materie prime-bicchiere e bicchiere-materie prime che è probabilmente la parte della degustazione/produzione che più mi affascina. Fare da ponte tra degustazione e sala cottura è un compito molto arduo di chi fa consulenza a birrifici. Spesso si è chiamati, nel degustare una birra di un produttore, a individuare eventuali problematiche tecniche o anche a modificare la ricetta per raggiungere determinate caratteristiche organolettiche. C’è da dire che in Italia non sono poi tanti quelli che sanno tradurre facilmente le lingue dei due ambiti (produttivo e degustativo). Senza alcun paradosso, sono i birrai, maggiormente avvezzi ad avere a che fare con le materie prime, che potenzialmente hanno una marcia in più in tale ambito. Per comprendere una birra appieno, conoscere le materie prime da sicuramente un valore aggiunto ma non è una tappa obbligata ai fini della degustazione. Ci rende forse dei degustatori più consapevoli e può essere utile in ambito professionale e produttivo. Ma mi raccomando, quando siete davanti ad un bicchiere al bancone del pub, gli eccessivi tecnicismi lasciamoli a casa!
Fonte: Fermento Birra