Ciao, lettori di NONSOLOBIRRA, ci siamo, finalmente è ora di entrare in birrificio!
Inizieremo oggi a parlare del processo produttivo, di come quindi la birra viene fisicamente fatta.
Ho pensato un po a come strutturare questa parte del corso, l’argomento è decisamente ampio e complesso e tantissime sono le sfumature e le variabili che entrano in gioco. Non posso quindi raccontarti ogni singola sfaccettatura, la lezione si trasformerebbe in qualcosa di noioso e inutilmente tecnico.
Quindi se vuoi approfondire in un secondo momento questa parte, ti consiglio la lettura di un libro che per me è stato illuminante, direi quasi che ho deciso di imparare veramente a fare la birra proprio dopo averlo letto.
Si tratta di “How To Brew” di John Palmer, una vera e propria bibbia. Per completezza però mi tocca dirtelo, sfortunatamente si trova solo in inglese, non è mai stato tradotto.
Quindi come procediamo?
Dividerò la lezione in due, la prima riguarderà la parte calda, quella di cottura del mosto, la seconda la parte fredda, quella di fermentazione e confezionamento.
Si prospettano due lezioni belle toste quindi, concentrazione e sotto con lo studio!!
Bene, pronti via.
Forse non lo saprai ma la birra deve essere cucinata, proprio come fosse una ricetta di un pasticcere o di un fornaio.
Gli ingredienti infatti, per cedere tutte le loro caratteristiche hanno bisogno di temperatura e anche di tempi abbastanza lunghi e, il comun denominatore di questo processo è la precisione, che deve sempre essere massima. Una minima variazione e la birra presenterà delle differenze anche importanti rispetto alle produzioni precedenti
Tutto inizia nel magazzino dove teniamo i nostri sacchi di malto. Iniziamo pesando i vari tipi di malto ed eventuali altri cereali che ci servono dopodiché li maciniamo.
La macinatura è essenziale in quanto ci permette di rompere la “buccia” del malto per far si che poi l’acqua, durante la cottura possa entrare in contatto con la parte interna dei chicchi, dove si trova ciò che ci interessa.
Nel frattempo, in zona produzione accendiamo la caldaia. Si tratta della “pentola” dove avverrà il processo di cottura. La nostra è alimentata a vapore, questo perché il riscaldamento che si ottiene con esso è più delicato e omogeneo.
Dentro la caldaia carichiamo parte dell’acqua che ci serve, il rapporto solitamente è di 3 litri per ogni chilo di malto che andremo ad utilizzare. Iniziamo a riscaldarla per portarla attorno ai 50°C. Arrivati a temperatura aggiungiamo il malto che abbiamo appena macinato.
In questo momento inizia la vera e propria fase di cottura, è un momento magico, dove sembra accadano delle magie…
Vediamole.
Perché iniziamo da 50°C? Ebbene, la fase di cottura del malto ha delle regole ben precise che dobbiamo seguire. Il malto è composto da molti elementi come ad esempio proteine ed amido e il colore. Sono tutte cose che ci servono, che contribuiscono al risultato finale, ma vanno lavorate e rese perfette.
Di queste lavorazioni si occupa la temperatura assieme al tempo, due cose che possiamo controllare facilmente. Ecco perché iniziamo la cottura ad una determinata temperatura.
A 50°C aspettiamo solitamente 10 minuti, a questa temperatura le proteine responsabili della schiuma si iniziano a “sciogliere” e si legano all’acqua.
Passati i 10 minuti iniziamo a scaldare il nostro impasto, che avrà l’aspetto di un enorme minestrone d’orzo.
Lo schema di cottura prevede altre pause, da questo momento però le variabili diventano infinite.
Dai 60°C ai 73°C lavoriamo sull’amido, quello che il maestro maltatore ci ha preparato bello libero con la maltazione. Il nostro obiettivo è fare in modo che si trasformi in zucchero. E succede naturalmente, ancora una volta ci basta attendere.Faremo quindi una pausa ed una temperatura compresa tra i due limiti che ti ho scritto sopra.
Si tratta di una semplice reazione chimica, messa in atto da degli enzimi (che se non sapessi cosa sono, si tratta di proteine che hanno la capacità di rendere le reazioni chimiche molto veloci) che rompono l’amido e lo trasformano in zucchero.
In questo momento, decidendo esattamente la temperatura a cui fare la pausa, io posso decidere quanto dolce risulterà la birra finita.
Te lo spiego nel modo più semplice che posso, ma stiamo parlando di chimica e semplificare è abbastanza complesso.
Proviamo ad immaginare una molecola di zucchero come una sfera. Queste sfere si possono attaccare le une con le altre in modo da formare delle catene anche molto lunghe.
Quando parliamo di zuccheri semplici (mono e bi-saccaridi), ci riferiamo a sfere singole o al massimo a coppie (come il saccarosio detto anche zucchero da cucina o il fruttosio, quello che rende dolce la frutta). Se parliamo di zuccheri complessi (polisaccaridi), intendiamo catene ben più lunghe, di 4, 5 o anche 10 sfere attaccate assieme (sono zuccheri come il lattosio, amilosio o altri con nomi assurdi).
Il lievito riesce a mangiare solo ed esclusivamente catene corte di zucchero, gli zuccheri complessi, non riesce a digerirli.
Ecco quindi che, più la temperatura sarà verso la parte bassa del range(60°C) e più avremo zuccheri semplici che il lievito potrà mangiare, più alzeremo la temperatura e più complessi saranno gli zuccheri derivati dall’amido, meno però il lievito riuscirà a mangiare, la birra quindi rimarrà più dolce a fine fermentazione (un po quello che vogliamo ottenere con la nostra Alta Vienna).
Ci vogliono circa 40/60 minuti per trasformare gli zuccheri, con un semplice test noi riusciamo a capire quando il processo è terminato e passiamo alla fase successiva. Alziamo quindi la temperatura ad esattamente 78°C, in questo modo, tutti gli enzimi che sono presenti nell’impasto smettono di lavorare.
Il minestrone è pronto, dolcissimo, arriviamo ad avere anche 180 grammi di zucchero per ogni litro di acqua. Se lo si assaggia è quasi stomachevole.
Dobbiamo ora separare tutto il malto cucinato dalla parte liquida che è quella che in realtà ci serve.
Per fare questo trasferiamo tutto l’impasto dentro ad un’altra vasca, il tino di filtrazione. Si tratta praticamente di un “colino” gigante che ci permette di trattenere la parte solida (bucce del malto e farine principalmente) e di lasciar passare la parte liquida. In questa fase aggiungiamo ulteriore acqua, per far si che possiamo essere sicuri che la maggior parte dello zucchero che abbiamo estratto venga portata via e non rimanga attaccata allo scarto. Quest’acqua ci serve anche a diluire e a portare a concentrazione gli zuccheri che abbiamo, per farti capire, una birra da 5 gradi alcolici, ha bisogno di una concentrazione di zucchero di circa 110/120 grammi per litro.
La parte liquida quindi la riportiamo nella caldaia, lo scarto, il malto cotto e ormai esausto (le cosiddette trebbie di birra), lo conferiamo ad una azienda agricola che lo usa come mangime per i suoi animali da allevamento (e fidati, gli animali ne vanno pazzi).
Il liquido, che da questo momento chiameremo mosto, lo portiamo finalmente a bollitura. Scaldiamo quindi il tutto fino a 100°C e in questo momento iniziamo ad aggiungere il luppolo.
La bollitura dura solitamente 60 minuti ed è un altro passaggio fondamentale per garantirci un ottimo risultato finale.
In questo momento infatti succedono svariate cose: l’alta temperatura sterilizza completamente il prodotto, l’evaporazione porta via tutti gli aromi indesiderati che il malto conteneva (anche se non si sentono, fidati che ci sono, sono composti sulfurei che il chicco si porta dietro dal campo). In più tante proteine, quelle in eccesso, che si sono sciolte durante la fase iniziale, si coagulano tra di loro e precipitano sul fondo lasciando il mosto limpido e pulito.
Come ti dicevo in questa fase aggiungiamo anche il luppolo, in diversi momenti della bollitura.
Il luppolo che sarà necessario per la parte amara, lo aggiungeremo ad inizio della bollitura, le resine che danno l’amaro infatti hanno bisogno di tanto tempo per potersi “attaccare” al mosto. Il luppolo che, al contrario ci darà la parte aromatica, sarà aggiunto negli ultimissimi minuti di bollitura, in questo caso, gli oli e le resine che danno l’aroma tendono ad evaporare molto velocemente, farle bollire per troppo tempo significherebbe perderle completamente.
Spezie ed altre aromatizzazioni da fare a caldo arrivano in questo momento, alla fine della bollitura, anche per loro, come abbiamo visto ieri, solo qualche minuto.
Spegniamo la caldaia e il nostro mosto è pronto, profumatissimo, dolcissimo e ovviamente caldissimo. Se lo osserviamo è pieno di impurità che girano al suo interno, i fiori del luppolo che abbiamo aggiunto, le proteine coagulate ed eventuali altre aggiunte vanno rimosse.
Per fare ciò ci avvaliamo di un’ultima vasca, il whirlpool, letteralmente vortice. In questa vasca trasferiamo il nostro mosto con l’ausilio di una pompa che lo spinge ad alta pressione facendo in modo che inizi a vorticare in modo molto forte. Questo vortice, fa si che, tramite la forza centripeta, tutte le particelle solide in sospensione, precipitino al centro. Non so se lo hai mai osservato, ma succede esattamente la stessa cosa quando aggiungi lo zucchero nel tè e mescoli con un cucchiaino. Lo zucchero tenderà ad andare al centro.
Attendiamo qualche minuto che tutto si fermi e siamo pronti per raffreddare.
Tramite uno scambiatore di calore, facciamo in modo che il mosto venga raffreddato nel minor tempo possibile, lasciare infatti il mosto ad alta temperatura per troppo tempo rischia di rovinarlo. Nel giro di 40 minuti al massimo dalla fine della bollitura, il mosto deve essere portato a temperatura di fermentazione, 20°C circa, e trasferito nel tank dove riceverà l’ultimo ingrediente, il lievito.
Da quando abbiamo iniziato la cottura sono passate 8 ore, da questo momento però, il lavoro fisico del birraio è praticamente terminato, ci penserà il lievito a portare avanti il processo.
Ma questo lo vedremo nella prossima lezione
Nicola
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