
Ho letto la lettera aperta di Unionbirrai intitolata “Il nostro impegno. La nostra voce. La birra artigianale italiana” e mi sono fermato a riflettere. Non tanto sulle parole, quanto sul senso profondo che questa comunicazione porta con sé.
È molto più di una nota istituzionale. È un grido gentile, un atto di presenza in un settore che troppo spesso viene raccontato dai margini, come folklore, passione o moda. Invece, dietro ogni birrificio artigianale c’è un mondo complesso fatto di burocrazia, accise, formazione, qualità e identità.
Una realtà che va difesa (anche quando non fa rumore)
Il primo messaggio che ho colto è la volontà di fare bene, senza fare guerra a nessuno. Unionbirrai non si propone come movimento di protesta, ma come piattaforma di soluzioni. Il loro operato va dalla semplificazione normativa al supporto quotidiano agli associati, con un lavoro sommerso che raramente conquista le luci della ribalta.
Mi ha colpito un passaggio in particolare:
“Operando sempre con una accezione positiva, mai contro qualcuno o qualcosa”
È raro leggere un’associazione di categoria che si esprime così chiaramente su come vuole porsi nel dibattito pubblico. Soprattutto in un’epoca in cui il “nemico” è una leva facile per ottenere attenzione.
Report, visibilità e invisibilità
Il riferimento alla trasmissione Report e alla mancata messa in onda dell’intervento Unionbirrai mi ha fatto riflettere su un punto chiave:
chi decide oggi cosa viene raccontato e cosa no nel mondo agroalimentare italiano?
Unionbirrai ha partecipato con disponibilità, offrendo anche un degustatore qualificato. Il fatto che nessuno dei 30 minuti registrati sia stato trasmesso non è solo una scelta editoriale, è un’occasione persa per raccontare una parte importante del comparto birrario.
Eppure, l’associazione sceglie di non alimentare polemiche. Lo trovo maturo. Ma anche un po’ sintomatico: quanto spazio c’è oggi per i piccoli, se nemmeno quando sono coinvolti vengono ascoltati?
La cultura del fare, non solo del bere
Oltre agli aspetti politici e comunicativi, quello che davvero emerge dalla lettera è una visione culturale della birra artigianale. Non è solo una bevanda, ma un’espressione artigianale italiana, viva, in evoluzione, meritevole di rispetto e tutela.
Ecco perché è importante parlare di:
- marchio “Indipendente Artigianale”, per distinguere chi produce con metodi autentici;
- formazione continua, che garantisce innovazione e qualità;
- concorsi seri, che valorizzano il merito e stimolano miglioramento.
Questo approccio mi piace. Perché non punta solo a “difendere” la birra artigianale, ma a farla crescere in consapevolezza, cultura e riconoscimento sociale.
Un movimento che merita più voce
La conclusione della lettera è chiara: “Uniti si vince”. E non è un motto da merchandising. È la sintesi di un problema reale: i birrifici artigianali spesso non fanno massa critica. Sono piccoli, indipendenti, dislocati, con risorse limitate. Senza una voce collettiva, rischiano di essere ignorati.
Unionbirrai quella voce prova a darla.
E io, leggendo questa lettera, ho capito quanto sia importante che chi ama la birra artigianale – anche solo da consumatore – inizi a considerarla per quello che è:
una cultura, una filiera, un patrimonio da difendere.