In trasferta a Primiero

Dopo aver fatto conoscenza di persona con Fabio del birrificio BioNoc’ e con le birre del progetto Asso di Coppe – in quel di Acido Acida a Ferrara, come avevo scritto qui – volentieri ho accolto l’invito a visitare la sede del birrificio a Mezzano, nella ridente valle trentina del Primiero (perché si sa, tra il Trentino e l’Alto Adige tutto è ridente. Almeno dal punto di vista dei veneti). Sono stata così accolta da lui e dal socio Nicola, e per prima cosa mi hanno raccontato dei numerosi progetti che il birrificio ha portato avanti negli ultimi anni.

Già nel precedente post avevo accennato al progetto Bio Lupo per la coltivazione dei luppoli in loco; e che oggi conta 5 luppoleti in diverse valli della provincia, le cui 1500 piante – coltivate da agricoltori locali – forniscono ad ogni raccolto 650 kg di luppolo di 12 varietà – il che consente, eccetto per la ipa e la apa, di coprire interamente il fabbisogno del birrificio. “Tutto è iniziato da un agricoltore che ci ha raccontato di aver provato a piantare il luppolo – ha raccontato Fabio – chiedendoci se fossimo interessati.

Da lì la cosa si è sviluppata, e abbiamo un po’ imparato facendo: ad esempio ci siamo resi conto che sopra i 500 metri di quota non c’è bisogno di trattamenti chimici, perché la maggior parte dei patogeni sopra quelle quote non prospera. Così abbiamo potuto ottenere la certificazione bio per il 30% del nostro luppolo, quello appunto cresciuto in montagna”.

Parte del luppolo è anche utilizzato fresco per la produzione delle birre harvest – le stagionali brassate appunto nel periodo della raccolta, generalmente a settembre – ciascuna con la sua peculiarità in base a quale luppolo viene utilizzato e a dove è stato coltivato: “Partiamo sempre da una base kolsch, ma di fatto escono delle birre completamente diverse tra loro e non sempre inquadrabili come kolsch – ha proseguito Fabio – tanto che l’idea è stata quella di identificarle in etichetta non tanto in base allo stile, quanto al tipo e provenienza del luppolo”.

Il prossimo progetto significativo del BioNoc riguarda il cereale, con coltivazioni di orzo, farro, segale e grano saraceno tra la provincia di Vicenza e il trentino – anche questi coltivati senza trattamenti chimici – appoggiandosi poi ad una piccola malteria sperimentale. La cosa è già avviata, tanto che sono state presentate due birre di questa linea denominata “della terra” – Fil di Farro e Segale – mentre la blanche Nana Bianca è in fermentazione; ed è nata anche una birra interamente con materie prime locali, la Primiero, in collaborazione con Slow Food – in produzione limitata, 30 hl l’anno. In vista c’è poi anche la produzione di distillati di birra, barley wine e affini. In generale, insomma, ho percepito un grande entusiasmo e una grande fiducia nei tanti progetti lanciati; tra cui appunto Asso di Coppe, che ho potuto conoscere meglio andando di persona a vedere la bottaia, a pochi km da lì.

Trattasi di un vecchio negozio in disuso che ora ospita una cinquantina di botti e una vasca appena arrivata: per gli amanti del genere è un po’ come entrare a Gardaland (tanto che c’è anche l’intenzione di fare in futuro visite guidate). Ad accogliermi è stato appunto Nicola Coppe, in quel momento intento a lavare alcune botti, e che mi ha raccontato un po’ come ha avviato il tutto. “Per ora diciamo che si tratta di una fermentazione semi-spontanea – ha spiegato – in quanto l’ambiente non è ancora saturo di tutti i microrganismi necessari; per cui ricorro ad un piccolo inoculo per avviare il processo. Però sono certo che presto ci arriveremo – ha affermato, di fronte ad un tino che ribolliva e non lasciava dubbi rispetto a che cosa stesse accadendo lì dentro. Le botti presenti andavano dai lambic in maturazione – il progetto è di arrivare a delle geuze a tempo debito -, birre alla frutta di svariati generi, ales barricate provenienti dal birrificio – tra cui la Lipa Porca di cui avevo già parlato – e finanche sahti, tradizionale birra di origine finlandese. Una piccola Cantillon del Primiero cresce? Forse, ma Nicola rifugge i paragoni né vuole essere messo a confronto con nessuno, preferendo proseguire le sue personali linee di sperimentazione – che del resto hanno già fruttato il primo posto sul podio nella categoria a Beer Attraction.

Tornati in birrificio siamo poi passati all’assaggio, e lì la curiosità è che siamo partiti dall’acqua: Fabio ha infatti tenuto a farmela assaggiare (un’acqua a 12 gradi francesi, classificabile pertanto come dolce), in quanto elemento essenziale nella produzione. Siamo partiti da una delle birre storiche del birrificio, la Alta Vienna, che a dispetto del nome non è una Vienna lager bensì una birra ambrata ad alta fermentazione con lievito belga (esiterei a definirla belgian ale perché, diciamocelo, è tutta un’altra cosa) contraddistinta dal malto vienna. E infatti sono ben percepibili all’olfatto i caratteristici toni tra il caramellato, il biscotto e il tostato del vienna, pur uniti al lieve fruttato del lievito; ma in bocca risulta assai più scorrevole nonostante la pienezza rispetto alle birre belghe, così come il finale, in cui personalmente ho colto anche una punta di amaro, appare più secco. La definirei quindi quasi un “ponte” tra Belgio e Germania, unendo due sensibilità birrarie diverse – anche dal punto di vista del grado alcolico, 5,8: un’onesta media tra i due mondi.

Siamo poi passati alla scottish ale Nociva, dagli aromi intensi di tostato, caramello, liquirizia, cioccolato – del resto il colore bruno fa pendant con queste caratteristiche -, con finanche una punta balsamica; corpo ben pieno ma anche in questo caso scorrevole che ripropone gli stessi sapori, fino a chiudere su una liquirizia netta e ben persistente. Da notare anche il grado alcolico relativamente basso, 4,6, che però potrebbe apparire più alto data la corposità della birra.

Da ultimo la Rauca, una rauch dalla schiuma copiosa e dal colore dorato scuro – quasi una particolarità tra le rauch – che usa una parte di malto affumicato su legno di faggio. Devo dire che mi ha particolarmente colpita per l’equilibrio e l’eleganza: aroma delicato, in bocca risulta morbida e quasi cremosa, lasciando spazio anche a qualche nota dolce maltata, per chiudere con un affumicato discreto ma ben persistente. Al contrario di altre rauch, peraltro, non lascia la sensazione di “arsura” al palato, risultando quindi più fresca e dissetante rispetto ad altre dello stesso stile.

E qui chiudo perché mi sono dilungata sin troppo nel raccontare un pomeriggio senz’altro ricco oltre che piacevole; sia per la visita al birrificio, che per il tour in una zona paesaggisticamente notevole.

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Birraio dell'anno 2025
Informazioni su Chiara Andreola 48 Articoli
Veneta di nascita e friulana d'adozione, dopo la scuola di giornalismo a Milano ho lavorato a Roma e Bruxelles. Approdata a Udine per amore, qui è nata la mia passione per la birra artigianale. E non smetto di coltivarla