Da Beer Firm a Birrificio: Il Viaggio di Raise Brewing nel Mondo della Birra Artigianale

Raise Brewing

Tempo fa, ho avuto il piacere di intervistare Damiano Arcaro, di Raise Brewing, articolo che potrete leggere qui. Attraverso la sua esperienza e le sue visioni, abbiamo scoperto le radici profonde di Raise e la determinazione che ha guidato il suo passaggio da una modesta beer firm a un birrificio completamente operativo. Ho colto quindi l’occasione per porgere a Damiano alcune domande per conoscere più nel dettaglio questa nuova avventura. 

Quale è stato il motivo principale dietro la decisione di passare da un beer firm a un birrificio con impianto già avviato?

La beer firm è un bel casino e si può fare per un certo periodo di tempo ma questo me l’ero preventivato sin dal principio. Si fanno tanti chilometri, spesso per nulla, si ottengono marginalità risicate perché si devono giustamente far lavorare i pub e i birrifici, si ha un controllo parziale sulla produzione perché gli impianti sono di proprietà dell’azienda ospitante. Per quanto si vogliano fare foto e video accattivanti che mostrano persone appassionate tra tini di fermentazione e sala cottura, alla fine non si gestisce la birra dalla A alla Z come un vero birrificio e questo mi è sempre stato stretto perché so cosa vuol dire lavorare da birraio: l’ho fatto fino a prima del COVID (Brewfist prima, Vecchio Birraio poi) e anche durante la pandemia (Birrificio Tre Vichi che ha poi sospeso la produzione). Birrificio inoltre non è solo “cotta, pulizia, spurghi e confezionamento”, birrificio è anche “fornitori, abbattimento dei prezzi, approvvigionamento materie prime, gestione ottimale della rotazione della cantina, dogane, ecc”, ecco perché ho sempre voluto evitare di creare confusione magari presentandomi come “Raise brewery” o “gypsy brewery” o, peggio ancora, “birrificio artigianale”. Credo sia una questione di rispetto per chi davvero lavora in questo settore ed ha effettuato investimenti.

Da tre anni la produzione era passata totalmente al Vecchio Birraio perché conscio di ciò che potessi crearvi avendoci lavorato e perché sicuro del rapporto di rispetto e stima consolidato negli anni. Era come se fossi io a produrle? In parte sì! Ma il vedere le cotte, controllare il prodotto dai tank, discutere della ricetta, non mi bastava più ed ho sempre puntato ad arrivare al birrificio.

Per tutti questi motivi ho sempre ricercato investitori con mezzi economici che credessero nel progetto, forte anche di una buona (spero sia ancora tale) nomea che ho creato attorno a Raise come aspetto visivo, umano e del prodotto in sé. Per un paio di volte sono arrivato a tanto così per poi ricevere un no all’ultimo. In tutti questi anni mi sono interrogato spesso se valesse la pena continuare, se stessi percorrendo la strada giusta e non nego che ci siano stati momenti difficili. Alla fine da laureato magistrale in Chimica Industriale è un attimo percorrere la carriera in una grande azienda, avrei potuto puntare a quello che già avevo. Tuttavia devo ammettere che non ho mai trovato quella gioia che il mondo birra artigianale mi regala nonostante le ombre che a volte si percepiscono.

A valle di questi 4 anni ho pensato che il mio progetto assomigliasse molto alla realtà già esistente del Vecchio birraio, più noto come brewpub, e che si potessero unire le forze per far crescere ulteriormente produttività e qualità del prodotto. Così ho parlato con Stefano Sausa per vedere cosa si potesse fare ed eccoci qua.

Foto 1: scorcio di cantina di fermentazione e maturazione. Piano sottostante il ristorante: 2 maturatori orizzontali (soprattutto per la lagerizzazione delle basse fermentazioni) da 13hL + 6 fermentatori troncoconici da 650 L l’uno. Il tutto isobarico.

Come hai gestito la transizione da beer firm a birrificio con impianto in termini di investimenti, risorse umane e operazioni?

Dal punto di vista umano non c’è stato alcun problema perché il progetto beer firm da fine 2021 era diventato unipersonale. Manuel e Luca ben presto si erano stancati in quanto avevano altri progetti per le mani e, come anticipato, il tutto era molto faticoso. Siamo tutt’ora ottimi amici ed economicamente mi hanno lasciato tutto il tempo di restituire il denaro investito assieme.

Dal punto di vista delle risorse e degli investimenti si può riassumere con un termine: cooperazione. Vecchio Birraio non ha mai curato la parte export, forte anche di una pizzeria/ristorante/brewpub che è ben commensurato alle misure dell’impianto produttivo; Raise brewing è quindi l’occasione di aver una linea dedicata alla vendita diretta ai pub e in distribuzione. Inoltre, avendo già lavorato assieme conosco molto bene l’impiantistica, i pro e i contro del sistema produttivo, con, ad esempio, fermentazioni e confezionamenti in contropressione dal 1996.

Operativamente parlando stiamo parlando di un’unica partita IVA che contiene due marchi, due linee. Io collaboro con Francesco, birraio con 15 anni di esperienze al Vecchio Birraio, per 3/4 giorni a settimana, curando entrambi i marchi birrari; i restanti giorni mi occupo del mantenimento e della ricerca di contatti commerciali con i pub/locali qui in Veneto.

Foto 2: scorcio di cantina di fermentazione e maturazione, 4 fermentatori verticali da 13 hL. Tutti isobarici

Quali vantaggi hai riscontrato nel possedere e gestire direttamente un impianto di produzione rispetto ad utilizzare impianti esterni come beer firm?

Vantaggi? Tutto.

Tornare in birrificio e fare questo lavoro 8-10 ore al giorno ti permette di poter avere le cose sotto controllo e farle a tempo pieno. Tenere il piede in due scarpe (due lavori, anche tre per un periodo) come facevo antecedentemente era parecchio complicato e rubava tempo agli affetti e alle relazioni.

La beer firm è complicata produttivamente perché si è spesso sotto il controllo dei birrai che non ti lasciano metter mano all’impianto, cosa che per altro io approvo, sia chiaro. A volte sono gentilissimi e ti avvisano per un confronto se vogliono modificare la tua ricetta per il tuo bene, altre volte invece tacciono il tutto e tu ti ritrovi sorprese nel bicchiere. Essere beer firm è un rischio: non hai tutti gli oneri e nemmeno tutti gli onori. Credo sia normale in questi casi.

Foto 3: sala cottura a due tini riscaldati, da 650 L di mosto finito fino a 15° Plato. A destra il tino mash, a sinistra il tino boil

 

Quali sono le principali differenze che hai notato nel processo di produzione e controllo della qualità tra il tuo beer firm e il tuo birrificio con impianto?

Essere a contatto tutto il giorno con i tini cottura, i tini di fermentazione e i maturatori eventuali è un grosso vantaggio! Posso controllare qualitativamente tutte le fasi e capire in maniera ancor più definita quale passaggio può aver causato una determinata nota gustativa.

Lo so che dopo questa frase tutti gli appassionati si scateneranno in pensieri quali “Ma come?! Sei birraio e non sai ricondurre un off-flavour al passaggio produttivo!?” però vi posso assicurare che per una cosa che si vuole modificare si possono aprire universi di possibilità.

Banalmente: il famoso diacetile è una molecola che si forma in fase fermentativa. Ma cosa può averla generata? Un tasso d’inoculo troppo basso di lievito, una mala gestione a livello di temperature, una fase di lagerizzazione troppo corta?

Ecco questo vale per tutte le note degustative ancor meno oggettive: una sferzata di troppo di caramello nella APA la risolvo cambiando malto o modificandone le quantità di quel malto? Spurgo ora o aspetto un giorno per togliere la biomassa da quel tank? Una parte troppo erbacea forse nella Zwickelbier, l’abbiamo confezionata troppo presto?  La pratica rende migliori e poter toccare con mano di giorno in giorno ti mette di fronte molti interrogativi.

Ammetto che ultimamente ci sta venendo il mal di testa a forza di pensare a soluzioni e variazioni per ogni prodotto!

Come hai gestito la distribuzione e la commercializzazione dei tuoi prodotti una volta che hai avviato il birrificio con impianto?

Sto ancora cercando i canali commerciali corretti. Per ora mi occupo personalmente di contattare i pub sia per assaggiare assieme i prodotti che per eventuali ordini o problematiche. Alla fine, devo ammettere che il frutto di quei 4 anni a girare come una trottola per il Veneto adesso lo apprezzo di più. È ancora presto per parlare di numeri grossi, interessanti.

Hai apportato modifiche o miglioramenti significativi al tuo processo di produzione o alla tua gamma di prodotti una volta che hai avviato il birrificio con impianto?

Stiamo valutando tante novità!

In primis stiamo cercando di accorpare alcune ricette. La cantina è di 115/120 hL ma non si può pensare di aver 2 Pils, 2 Session IPA, 2 West coast IPA e via discorrendo.  Chiaramente si deve puntare alla massima bevibilità e occorre cedere qualche colpo da una parte e dall’altra per uniformare ingredienti e processi; contrariamente il rischio sarebbe quello di non aver più cura dei singoli prodotti in termini di tempi. Penso soprattutto alle nostre basse fermentazioni che lagerizzano dai 20 ai 30 giorni in maturatori orizzontali.

In secondo luogo, stiamo cercando di dare nuovi spunti alle luppolate, di non renderle monodimensionali. Troppo spesso enfatizzare un naso spingendo troppo sul tropicale rende stucchevole una birra; come anche sventagliate troppo dank o troppo erbacee tendono ad esser eccessivamente violente per il consumatore.

Infine, ci stiamo spaccando la testa per migliorare costantemente la qualità del processo, piccole accortezze che fanno la differenza. Il primo obiettivo è rendere 30.09, la Pils di punta di Raise, ancora più scorrevole, ancora più pulita e ancora più facile da bere. Anche se migliorata, per ora non ne sono soddisfatto al 100%, lo devo ammettere.

Come hai gestito la domanda di birra rispetto alla capacità di produzione nel tuo birrificio con impianto?

Diciamo che è ancora presto per aver problemi di eccessiva domanda di birra solo per conto Raise! Finora come beer firm ho sempre raggiunto i 110-140 hL annui, un ottimo traguardo che vorrei superare avendo un impianto ora. Sarà necessario un grande sforzo soprattutto commerciale perché le basi, cioè i prodotti, ci sono. Come dicevo prima uniformando le ricette e aggiustando il tiro qua e là si dovrebbe aver maggiore possibilità di esser costanti e aver una gamma di prodotti completa e disponibile.

Hai intrapreso qualche iniziativa per coinvolgere la comunità locale nel tuo birrificio con impianto, come eventi, tour o degustazioni?

Ci stiamo lavorando! Vecchio Birraio è già un brewpub con impianto a vista ma i tour guidati negli anni sono andati scemando perché lavora molto alla sera con la ristorazione e Francesco da birraio singolo aveva già una mole di lavoro importante.

La prima cosa che vorremmo fare è ristabilire la possibilità di visita + degustazione, soprattutto con l’arrivo della bella stagione. Credo abbia sempre del poetico capire il processo produttivo, toccare con mano le materie prime e annusare anche i tipici profumi che possono uscire dai vari ambienti di un birrificio (prometto che non faremo lavaggi con l’acido peracetico quella mattina!).

In secondo luogo, sarebbe bello collaborare con il mondo degli homebrewers, creare eventi e concorsi che accrescano una comunità responsabile e appassionata. Alla fine, ci si avvicina a questo mondo per curiosità e ci si innamora con facilità. La passione va coltivata ed incentivata anche se diventa lavoro e credo che tutti i produttori casalinghi sappiano dare una spinta e un valore a quel che si fa in birrificio, perché intuiscono cosa ci sia dietro una pinta di birra. Lo scambio di informazioni ed esperienze tra persone è ciò che accresce la possibilità di migliorarsi.

Quali sono i tuoi piani futuri per il birrificio con impianto? Hai intenzione di espandere ulteriormente la tua produzione o di introdurre nuove linee di prodotti?

Ci stiamo già guardando attorno per un nuovo luogo dove spostare almeno la produzione acquistando un nuovo impianto. L’attuale sede è molto bella però ha marciato parecchio in questi anni ed ha bisogno di esser sostituita in molte sue parti. Ci sono inoltre dei vincoli strutturali non da poco che impediscono di crescere ulteriormente. Non è una cosa immediata ma l’intenzione è quella.

Parlando di nuove referenze stiamo lavorando ad un paio di chicche che sono già in fase di rifinitura: una bassa fermentazione ed una referenza belga. Non vi dico di più ma promettono bene!

Mi piacerebbe in un futuro aver la possibilità di fare elevazione di prodotti in botti di ex distillati, è un mondo che mi affascina molto ed è leggermente meno pericoloso (in termini di infezioni per il birrificio) del mondo wild ale ed affini. Occorrerà ugualmente aver una stanza separata dal resto della produzione perciò rimane un sogno nel cassetto per ora!

Foto 4: fermentatori troncoconici isobarici

Il percorso di Raise Brewing, dall’avventura come beer firm al passaggio a un birrificio con impianto, rappresenta un’odissea di passione, dedizione e perseveranza. Attraverso il racconto di Damiano, emerge chiaramente il profondo rispetto per l’arte della produzione birraria e l’impegno verso la qualità e l’innovazione.

Guardando al futuro, i piani di espansione e l’introduzione di nuove linee di prodotti promettono di portare Raise Brewing verso nuove vette di eccellenza nel panorama birraio. Con un occhio attento alla comunità locale e alle passioni condivise, il birrificio si prepara a coinvolgere sempre più persone nel fascino della birra artigianale, offrendo esperienze uniche e prodotti di alta qualità.

Grazie a Raise Brewing per averci condotto in questo affascinante viaggio nel cuore della birra artigianale. Non vediamo l’ora di sollevare un bicchiere delle vostre creazioni e di seguire con entusiasmo il vostro percorso verso nuovi traguardi. Salute e buona birra!

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BEER my LOVER
Informazioni su Stefano Gasparini 648 Articoli
Stefano è un appassionato di birra artigianale italiana da molti anni e ha dato concretezza alla sua passione nel 2008 con la creazione di NONSOLOBIRRA.NET, un portale che mira a far conoscere al pubblico il mondo della birra artigianale italiana attraverso recensioni, degustazioni e relazioni con i produttori. Stefano ha collaborato con la Guida ai Locali Birrai MOBI ed è stato presidente della Confraternita della Birra Artigianale. È anche il fondatore del gruppo Nonsolobirra Homebrewers e organizzatore del Nonsolobirra festival dal 2011. In sintesi, Stefano è un appassionato di birra che ha dedicato gran parte della sua vita a far conoscere e promuovere la birra artigianale italiana.