
Nata in Inghilterra, acclamata in Russia, risorta negli Stati Uniti, ecco la lunga epopea di questo affascinante stile.

Tutto inizia nel 1689, quando un giovane ragazzo, Pétr Alekséevič Románov, più conosciuto come Pietro il Grande, Zar di tutte le Russie, parte per il proprio Grand Tour, di 18 mesi.
Il Grand’ Tour, molto in voga a partire dal XVII sec., era un lungo viaggio nell’Europa Continentale, a cui i ricchi rampolli dell’aristocrazia venivano sottoposti, al fine di perfezionare il loro sapere, attraverso la conoscenza della politica, dell’arte e delle vestigia del passato. Il nostro Pietro, già incoronato Zar da sette anni, con la sfrontatezza tipica della sua giovine età (all’epoca dei fatti aveva appena diciassette anni) sembrava più interessato…
indovinate un po’ a che cosa?
Alla nostra tanto amata birra.
L’anti-convenzionale Imperatore aveva preso una camera, per la propria tappa londinese, a Norfolk Street, esattamente sopra un affollato Pub, dove passava le proprie lunghe e rumorose serate, in compagnia dei Porters, i camalli del porto, e dove conobbe, e si innamorò, delle Three Threads o Porter, la birra della Working Class della City, soprattutto della sua versione Robust o Stout Porter.
Le cronache dell’epoca sono fitte e ricche di presunte parole entusiaste del giovane Zar, ma purtroppo scarse dal punto di vista della bontà delle fonti, essendo primariamente riportante da birrifici britannici, al solo fine di sfruttarle come pubblicità.
Pietro, che, diciamolo, tanto fu un monarca illuminato (per l’epoca), tanto fu un ribelle che possedeva un amore snodato per l’alcol, ne rimase sicuramente colpito, e ne portò con se, a casa, un dolce ricordo.
In Russia la birra è già conosciuta, sia per la Kvas, antica, povera e leggerissima Farmhouse Ale di pane (mediamente 1,2%), le cui radici affondano addirittura nell’XI sec., che per le più recenti birre monastiche di Leopoli, destinata a diventare la Capitale brassicola della futura U.R.S.S., introdotte dai Padri Gesuiti, che aprirono il primo birrificio dell’Ucraina.
Ma la Russia non è terra di birra, ma di…. so cosa state pensando, e la risposta, mi spiace contraddirvi, non è vodka, ma, bensì, idromele.
È l’idromele, di cultura norrena, a farla da padrone; la distillazione arriva in ritardo in Russia, rispetto al resto d’Europa, e con essa la vodka, ma, appena giunge, dilaga a macchia d’olio, sia per la facilità della produzione, che per l’elevato tenore alcolico, divenendo, in breve tempo, una piaga sociale per l’Impero.
In questo humus, alcuni birrifici britannici iniziano ad esportare birre verso le steppe moscovite.
La leggenda romantica vuole che questi primi carichi, a causa dell’interminabile viaggio lungo la rotta Anseatica, rotta commerciale che collegava Londra a San Pietroburgo, passando per la Manica, costeggiando tutta la penisola danese, ed infine giungendo in uno dei tre maggiori porti russi (Tallin, Riga o Novgorod), delle estreme condizioni meteorologiche e delle temperature, arriva a Corte decisamente non in forma, o addirittura congelata, facendo esplodere le botti (modello Eisbock…).
Da li l’idea di crearne una versione più forte, più robusta, più alcolica, più luppolata, per meglio resistere al trasbordo, e fare bella figura di se al palato dello Zar, facendo nascere, de facto, le Imperial Stout.
In realtà, come sovente accade, la verità storica è spesso più prosaica e complessa.
I birrai inglesi creano un prodotto che viene incontro alle abitudini alcoliche dei Russi, amanti degli spiriti corposi e forti ed i mercanti inglesi, che intrattengono solidi rapporti commerciali con il mercato Russo, esportano merci britanniche (fra cui la birra, e non solo la Stout) e, per non ripartire con le navi vuote, importano doghe di rovere, essendo quello locale privo di nodi, e, di conseguenza, particolarmente adatto alla fabbricazione di grandi botti.
Il termine Imperial, utilizzato in tempi moderni dal movimento Craft, specialmente americano, per definire la versione più forte o più alcolica di uno Stile brassicolo (es. Imperial Pils, Imperial I.P.A., ecc.), come fosse un sinonimo di Double, all’epoca era (probabilmente) solo una denominazione commerciale per tutte quelle birre prodotte, appositamente, per l’esportazione verso l’Impero dei Romanov, anche se, per onor di cronaca, la prima dicitura comprovata è solo del 1821.
Si perché I Britannici di bere le Imperial Stout, rese costose dalle accise, non ci pensano proprio, tant’è che le cronache dell’epoca narrano che in Russia si possono gustare birre britanniche più forti, corpose e buone che a Londra.
L’amore per queste birre nel cuore di Pietro si riaccende, anche per la speranza di farle amare al suo popolo, per contrastare così la vodka, ed inizia ad importarla, sempre in maggiori quantità per la propria corte e per la sua amata Marina Imperiale, per la quale istituì la dose di Porter giornaliera, un po’ come il Tot di Rum per la Royal Navy.
C’è poi una seconda figura altrettanto, se non di più, responsabile del radicamento di queste birre in Russia è Caterina II.

La giunonica Zarina, dai teutonici natali, è una profonda amante della birra, che consuma in gran quantità e di cui si vanta (con scalpore per l’epoca) di poterla reggere al pari di un uomo.
La Russia sotto Caterina è travolta da un fiume di Birra mai visto, inserita dall’Imperatrice negli ospedali, come ricostituente, e come razione per l’esercito, tanto che la Britannica Imperial Stout diviene, col tempo, la prima fra le materie straniere imporrate nell’Impero (non viene fermata nemmeno dai rigodi divieti di importare prodotti inglesi, considerata l’imparagonabile qualità delle birre locali, ma solo per un breve periodo, dal 1803 al 1815, a causa delle Guerre Napoleoniche fra Francia e Regno Unito).
Ed è proprio la gaudente Sovrana ad invitare i birrifici Russi ad assumere personale britannico, per innalzare la qualità delle proprie produzioni, richiesta che verrà esaudita solo nel 1801.
Tanto per darvi una idea, solo dalla nota Città di Burton Upon Trent, storica Capitale brassicola, in quel periodo, salpano 11.000 barili di birra all’anno, destinazione San Pietroburgo.
Due sono le birre che si contendono il titolo di Russian Imperial Stout, di cui la Zarina è ghiotta; quella prodotta dall’Anchor Brewery e quella del Courage Brewery, su cui, ancora oggi, campeggia in etichetta “Originally Brewed by the Imperial Order of Catherine”.
L’idillio fra le scure britanniche e la Corte dei Romanov è però destinato a svanire; la Prima Guerra Mondiale, e con essa la Rivoluzione d’Ottobre, calano sul destino degli Zar, facendo cadere entrambi nell’oblio.
Poteva forse la britannica birra, simbolo dell’Imperialismo Zarista, nemica del Popolo e della Rivoluzioke, sopravvivere all’autarchia del regime Bolscevico?
I birrifici sovietici vengono statalizzati, e si converte la produzione su birre più popolari e socialiste.
I Birrai inglesi si ritrovano costretti, per la seconda volta, a dover cercare, per una specialità nata e sviluppata per l’export, un nuovo posizionamento interno di mercato; posizionamento che, per motivi culturali, e per la congiunzione delle due Grandi Guerre, non c’è, decretando la scomparsa delle Russian Imperial Stout dal mercato.
Resuscitano, molti decenni più tardi, ma negli Stati Uniti, grazie al movimento Craft della Renaissance Americana, per non sparire mai più, e continuare a deliziarci, grazie alle interpretazioni di numerosissimi birrifici sparsi nel mondo, con la loro forza, complessità, ricchezza ed innegabile fascino.
The Russian Imperial Stout is dead. Long life the Russian Imperial Stout.
Articolo curato da Simone Massenza, che ringraziamo