
Ho parlato solo un paio di volte su mio blog della birra San Gabriel, per quanto sia stata una delle prime birre artigianali che ho provato: amo infatti ricordare, non senza ironia, come la sera prima del mio matrimonio – sconfortata dall’aver visto arrivare al cellulare di mio fratello, a casa con me, un messaggio dal suo futuro cognato che diceva “Noi siamo in birreria, ci raggiungi?” – abbia annegato tensioni e timori in una bottiglia di Bionda San Gabriel.
Ad ogni modo mercoledì scorso ho, dopo tanto tempo, visitato di persona il birrificio e l’annessa Osteria della Birra: l’occasione era la presentazione della candidatura della Valle del Piave a patrimonio Unesco, che il birrificio sostiene – dato che, come ha ricordato il birraio Gabriele Tonon (a sinistra nella foto qui sotto), “le analisi hanno dimostrato che l’acqua del Lia, affluente del Piave, ha una composizione simile a quella di Monaco, e quindi per la birra è perfetta”.
Non mi soffermo qui sulla candidatura – vi rimando al sito dedicato, www.piaveunesco.org, con un caldo invito a leggere perché gli aspetti di interesse sono numerosi; mi limito a dire che è stata una serata molto istruttiva e piacevole, grazie anche alla chiacchierata con il prof. Giovanni Campeol e il dott. Giuliano Vantaggi – presidenti rispettivamente del Comitato scientifico e del Comitato promotore – e con lo stesso Gabriele Tonon, tra i pionieri della birra artigianale avendo aperto nel 1997.
Essendosi il birraio formato in Germania, e più precisamente alla Doemens Akademie, l’impronta tedesca è quella predominante nelle birre del San Gabriel; per quanto Gabriele non disdegni di spaziare nelle stout e in alcune birre “sperimentali”, pur senza stravolgere gli stili consolidati.
Ho avuto modo di riprovare la Bionda – una lager chiara ispirata alle hell bavaresi, semplice, pulita e beverina, dal profumo che coniuga sentori erbacei e floreali a quelli del cereale – e la nota Ambra Rossa al radicchio, il “marchio di fabbrica” del San Gabriel – che unisce in maniera peculiare i sapori dei malti caramellati a quelli amari ed erbacei del radicchio, trovando un equilibrio del tutto apprezzabile tra i due poli. Nuova mi era invece la Buschina, definita come “tradizionale doppio malto italiana” (quasi a confermare che in Italia “doppio malto” è, con buona pace di chi – me compresa – si ostina a ricordare che si tratta solo di una definizione legislativa e non di uno stile, diventata una dicitura che di fatto sta ad identificare in senso lato una birra più forte e corposa della media): anche questa una lager, dal colore dorato carico, in cui all’aroma ho percepito – ancor più dei sentori fruttati “da descrizione”, pur presenti – note di miele. Corpo caldo e pieno di cereale, che però non chiude indugiando sulla componente dolce ma va a contrastarla con un amaro delicato – che non cancella comunque completamente i sapori maltati. Anche questa semplice e senza particolari fronzoli, coerentemente con la filosofia della casa.
Al di là delle birre meritano poi una nota l’arredamento – ricco di veri e propri pezzi di collezionismo birrario – nonché la cucina dell’Osteria, che non solo ha dei “capisaldi di freschezza” – uno dei vanti è il fatto di non usare alcun prodotto surgelato -, ma presenta anche alcune particolarità a cui abbinare utilmente le birre.
Al di là della “gamma radicchio” – dal risotto, alla marmellata di radicchio da accompagnare ai formaggi, alla frittata con radicchio e salsiccia – mi ha colpita in modo particolare la polenta con il mais rosso San Martino, una varietà di origine peruviana caduta nell’oblio e poi riscoperta alla fine del XIX secolo in Carnia.
A rifornire il San Gabriel è l’azienda agricola Pasquon di Torre di Mosto; e dalla farina macinata a pietra nasce non solo una polenta dal gusto del tutto particolare – delicatamente dolce, che tende quasi alla vaniglia, – ma anche la birra Zea Mays.
L’aroma unisce in maniera armoniosa la luppolatura floreale e i toni di cereale tendenti al vanigliato di questa particolare varietà di mais; un connubio che apre ad un corpo beverino per quanto di media robustezza, e in cui la componente dolce è sì protagonista ma non invasiva grazie anche alla chiusura in cui ritorna con eleganza l’amaro del luppolo – con tanto di lieve nota speziata al retrolfatto, che accompagna in maniera peculiare le precedenti note di vaniglia. Una birra che ho trovato originale e ben costruita, nella misura in cui gestisce in maniera pulita ed equilibrata un sapore peculiare come quello del mais San Martino.
Chiudo con un grazie a Gabriele Tonon, allo staff del birrificio e ai promotori della candidatura della Valle del Piave per la piacevole serata.