A Roma, nel quartiere di Montesacro, prende vita la storia de La Dama, nata dall’amicizia e dalla voglia di sperimentare di un gruppo di homebrewer. Dai primi passi mossi in una piccola stanza di parrocchia fino alla scelta di trasferirsi a Bedizzole per dar forma a un birrificio vero e proprio, il percorso è stato costellato di prove, sacrifici, entusiasmo e tanta passione. Oggi La Dama è una realtà consolidata che continua a distinguersi per la ricerca, la qualità delle materie prime e la capacità di sorprendere con birre originali, mantenendo intatta l’anima artigianale che l’ha accompagnata fin dagli esordi.
Abbiamo chiesto a Gemma di raccontarci il percorso e le curiosità che stanno dietro al progetto La Dama.
Come è nata la vostra passione per la birra artigianale e cosa vi ha spinto a trasformare un hobby in un progetto imprenditoriale?
Inizierei per dire dove nasce. A Roma nel quartiere di Montesacro, e nasce da un’amicizia, dalla accesa curiosità di sperimentare, ma soprattutto dalla irrefrenabile voglia di esprimersi creando. Siamo partiti come homebrewers, inizialmente in una piccola stanza messa a disposizione da una parrocchia, poi in uno spazio poco più grande di un centro culturale sempre nello stesso quartiere. Ciò che ci ha spinto a trasformare questo hobby in un progetto imprenditoriale è stato il forte desiderio di dare alla luce qualcosa che prima non esisteva e fare di tutto, ma proprio di tutto, per vederlo crescere e crescere noi insieme a lui.
Cosa ricordate con più emozione degli anni da homebrewer e come quelle esperienze hanno influenzato lo stile del birrificio?
Le continue prove e l’ambiente creativo che si era creato. I momenti di quando osservavamo trepidanti con il nodo alla gola, gli occhi, le espressioni di chi assaggiava le nostre birre in attesa di un’opinione schietta o, nel caso di persone esperte, di un giudizio vero e proprio per scoprire dai loro sguardi e dalle loro parole che piacevano molto. Niente è paragonabile a quella scarica di adrenalina dell’attesa che esplode nella realizzazione del proprio destino. Quel preciso istante in cui percepisci che ce la puoi fare. Anche gli errori, i fallimenti, che sono serviti più dei successi a rimanere umili e ad imparare a studiare ancora di più ed acquisire quelle competenze che poi ci hanno portato a ciò che siamo ora con l’atteggiamento di chi non si sente mai arrivato ma sempre in cammino.
Perché avete scelto il nome La Dama e cosa rappresenta per voi?
Dama ha due significati. Il primo è l’acronimo delle prime sillabe dei nomi Davide e Manolo, i primi due amici che hanno iniziato questo cammino come homebrewers, ai quali si sono aggiunti nel tempo, prima Roberto nella transizione a beerfirm , e poi altri soci tra i quali Gemma e Fabio nella trasformazione definitiva a birrificio. Fin dall’inizio, Dama ha però anche significato per noi il modo in cui percepivamo la birra: femmina nella sua accezione e nel suo genere ma grandemente nobile e ricca di cultura come una importante ed insostituibile dama di compagnia.
Dopo l’esperienza come beer firm a Roma, cosa vi ha spinti a trasferirvi a Bedizzole e fondare il birrificio nel 2019?
Da una parte la possibilità di poter vedere realizzato il nostro birrificio in uno spazio che a Roma, pur avendo cercato, non avremmo potuto trovare con caratteristiche simili, ma anche, cosa non meno importante, di poterci unire alla nuova compagine sociale i cui elementi hanno implementato le nostre competenze, la nostra creatività e la nostra capacità di metodo e di ricerca.
Quali sono state le sfide principali nell’aprire un birrificio proprio e come le avete superate?
E’ inutile negarlo, una delle principali sfide è legata certamente al periodo storico nel quale ci troviamo, ed è stata quella di partire da zero in un mercato e in un settore che dal Covid in poi è cambiato per sempre radicalmente. Non è stato facile e, tuttora, ciò che ci caratterizza come azienda e che ci ha permesso di continuare il cammino, è stata la capacità di rimanere umili, appassionati e di diversificare riprogettando gli obiettivi in un mercato che cambia rapidamente e che anche a livello globale è sempre più volatile in tutti i settori anche a causa dei conflitti in atto.
Quanto è cambiata la vostra filosofia produttiva dal Tufello ad oggi?
La filosofia di base non è cambiata perché da sempre abbiamo pensato e creato i nostri prodotti perché fossero naturali, sani, buoni, ma soprattutto che fossero capaci di suscitare emozioni e di raccontare storie; spesso il nostro vissuto.
Qual è la vostra idea di “birra artigianale” e quali valori cercate di trasmettere con ogni creazione?
L’idea di un prodotto vivo, dinamico, naturale, il cui metodo produttivo rispecchi standard qualitativi altissimi e i cui ingredienti usati, oltre ad un’elevata qualità, possano rilasciare all’interno della birra tutte le loro proprietà benefiche. Un vero e proprio “pane liquido”. Ci piace l’idea di imbottigliare e stappare emozioni.
In che modo selezionate le materie prime e come nasce una nuova ricetta?
Per selezionare le materie prime ci rivolgiamo prima di tutto al nostro mastro birraio e insieme a lui scegliamo la tipologia di birra da produrre sempre guidati dal desiderio di sperimentazione e di ricerca, a seconda dell’obiettivo da raggiungere. Ogni nuova ricetta nasce dalla miscela di mesi di studio con l’applicazione delle competenze acquisite fin qui. Si sale, e quindi si progredisce, un gradino alla volta.
Avete definito il birrificio come una “officina”: cosa significa concretamente per voi e per chi vi visita?
Il termine officina, in italiano, deriva dal latino e più precisamente dall’unione di due parole: opus (opera) e facere (fare). Letteralmente: compiere un’opera. In tempi moderni il termine significa anche qualsiasi impianto a carattere industriale attrezzato con macchine operatrici nel quale si effettuano lavori a vario titolo, o, in un suo significato più ampio ma oggi raro, un laboratorio a carattere artigiano. Addirittura, anticamente, poteva descrivere qualsiasi luogo dove si lavorasse e si producesse anche a solo scopo culturale. In questo senso il nostro birrificio rappresenta per noi la nostra officina, un luogo dove si mette al centro “la persona” affinché si generino in abbondanza nuove idee, progetti, pensieri originali, in un ambiente fertile e creativo dove vogliamo che le persone che vengono a farci visita si sentano avvolte da questo “fuoco”, da questo calore e riescano a sentirsi “a casa”. In questi anni in cui la ricerca e lo sviluppo sono stati la nostra guida, abbiamo sperimentato anche il piacere di coinvolgere realtà esterne alla nostra, altre aziende artigianali italiane guidate da persone che, come noi, avessero voglia di unire le menti e le passioni e creare, insieme a noi, prodotti originali e innovativi. Un’officina allargata.
Qual è la birra che meglio vi rappresenta e perché?
In realtà non ce n’è una che ci rappresenti in particolare, perché in tutte abbiamo messo la stessa passione, gli stessi valori, la stessa qualità, lo stesso amore. Sarebbe come chiedere ad un genitore quale dei figli preferisca. Ognuna è diversa a suo modo ed ha le proprie caratteristiche che la rendono unica. Così come sono variegati i gusti di chi sceglie le nostre birre.
Tra le vostre creazioni più particolari (come Snow Flake al cetriolo o Santa Caos), quale ha riscosso più sorpresa o successo tra i consumatori?
Direi entrambe, poiché sono uniche nel loro “genere”. A prescindere dalla birra, per noi l’importante è sorprendere e lasciare un’impronta attraverso un’emozione. Ed è quello che ha influenzato fino ad ora le scelte nella realizzazione delle nostre ricette ma anche delle nostre etichette.
C’è uno stile che vorreste ancora esplorare o un progetto che avete nel cassetto?
La nostra passione e il nostro desiderio di ricerca non ci permettono di tenere ferme le menti. Abbiamo diversi progetti in cantiere che ci fanno guardare al futuro con entusiasmo, ma come abbiamo fatto finora, cerchiamo di non mettere troppa carne al fuoco e di dedicare il giusto tempo ad ogni idea. Sognatori al punto giusto, ma anche concreti.
Cosa ha significato per voi vincere premi internazionali con birre come Santa Caos?
E’ stata una grande gioia e una grande soddisfazione. Eravamo nel post covid ed è stato come un lampo di luce, dopo un periodo veramente cupo per tutti. Un riconoscimento importante da condividere con tutta la squadra per i sacrifici e per tutto il percorso di crescita fatto, perché le aziende sono fatte prima di tutto di persone. Non un punto di arrivo ma una tappa dalla quale ripartire e proseguire ancora più motivati.
Oltre alla birra, avete iniziato a proporre distillati e amari: come nasce questa diversificazione?
La verità? Era il 2020, avevamo le celle piene di birra appena prodotta ed è arrivato il primo lockdown. Abbiamo spremuto le meningi e pensato di distillarla. Così è nata la Kotori, che in lingua “Hopi” significa “spirito del gufo che stride”. Poiché abbiamo da sempre scelto il gufo come animale che ci potesse rappresentare anche nel nostro logo aziendale, ci è sembrato un nome perfetto. La nostra acquavite di birra ci ha permesso di contraddistinguerci in quegli anni difficili e di entrare in un nuovo mercato.
Dall’incontro tra la nostra passione per il bere di qualità e l’esigenza di rispondere ai continui cambiamenti del mercato, l’anno successivo è nato il nostro gin alla birra, Hania, che nella stessa lingua significa “spirito combattente”. Ed infine il Concilium, il nostro amaro alla birra, che volevamo rappresentasse il piacere di un incontro, della convivialità, espressione di passione e piacere insieme.
Quali sono i vostri obiettivi futuri e come immaginate La Dama tra 5 o 10 anni?
Cinque o dieci anni per i tempi in cui viviamo rappresentano un arco temporale lunghissimo e, come si dice a Roma – Beato chi c’ha un occhio – cioè beato chi è in grado di prevedere i tempi. Siamo in cammino, e lo affrontiamo giorno per giorno con speranza, ottimismo, tanta voglia di fare e soprattutto di essere. Diciamo che stiamo accompagnando “La Dama” a diventare “maggiorenne”, ad acquisire una sua specifica maturità.
